DENOMINAZIONE LOCALE
Bigone, bigonai, bigoncini. Dal termine bigone, nasce quello di bigonaio, cioè costruttori di bigoni. I bigoncini sono il prodotto tipico della seconda fase di vita della forma artigianale.
AREA GEOGRAFICA LUOGO
Stato: Italia
Regione: Toscana
Provincia: Arezzo
Comune: Poppi
Località: Moggiona
NOME
Casentino
DESCRIZIONE
Il piccolo centro di Moggiona si trova in Toscana, in provincia di Arezzo nel comune di Poppi; ed è situato all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, a pochi chilometri dal complesso monastico di Camaldoli. La zona è quella del Casentino, corrispondente alla valle superiore del fiume Arno.
Sorge su uno sperone roccioso al centro di una valle chiusa, ad un’altitudine di 750 metri sul livello del mare. Le origini di Moggiona sono analoghe a quelle di altri centri di epoca preromana, caratterizzati da un nucleo abitato posto su un’altura e collocato lungo le principali vie di comunicazione a difesa dei pascoli di montagna. È ben protetto a nord e ad est dai monti della catena appenninica, per questo motivo il suo clima è relativamente mite.
La storia di Moggiona è strettamente legata a quella di Camaldoli; erano difatti un popolo al servizio dell’eremo e del bosco. Gli abitanti di Moggiona risultano storicamente specializzati nella costruzione di bigoni documentata fin dal secolo XVI. L’impiego principale era quello di contenitori per il trasporto dell’uva in tempo di vendemmia. Questo manufatto di artigianato attraversa nel tempo varie fasi, trasformando e modificando la sua struttura e il suo utilizzo, restando comunque sempre ben presente nella memoria collettiva degli abitanti del borgo, fino ad oggi.
Tale mestiere ha retto l’economia locale fino agli anni Sessanta del XX secolo. Nel paese si impiantarono ben 30 botteghe dedicate a questa produzione, per cui assunse l’appellativo di “paese dei bigonai”.
Anche nei borghi vicini si praticava l’attività artigianale, con protagonista sempre il legno delle foreste casentinesi, arrivando però a produzioni distinte rispetto a quelle di Moggiona. Un esempio ne è la fruttiera di Pian del Ponte: un contenitore a forma aperta, in legno di castagno, lavorato con tornio.
MAPPE
PERIODICITÀ E OCCASIONI
I bigonai di Moggiona, ottenuto il permesso dalla Forestale, nel mese di luglio si trasferivano nelle cosiddette “macchie di là”, cioè in Romagna, per abbattere i tre abeti assegnati a ciascuno di loro. La lontananza dal paese era notevole, non era quindi pensabile recarsi ogni giorno sul posto di lavoro; occorreva dunque costruire un riparo per poter pernottare sul posto. I bigonai vivevano nel bosco per più settimane, e tornavano a casa soltanto la domenica.
Erano le mogli che viaggiavano tutti i giorni a dorso d’asino: partendo da Moggiona giungevano dopo qualche ora sul posto, portando da mangiare e da bere, per poi ripartire a piedi nel pomeriggio visto che il somaro, chiamato “la miccia”, trasportava le doghe da portare al paese.
NOTIZIE STORICO-CRITICHE
AGLI ALBORI
Non è ben chiaro come e quando i moggionini abbiano iniziato a creare questa tipologia di prodotto artigianale. Ha senza dubbio origini molto antiche, e sicuramente il legame con l’Eremo di
Camaldoli è molto stretto. Serafino Ballerini, uno degli ultimi maestri artigiani del paese – l’unico a saper ancora creare i cerchi -, ricorda che il padre narrava dell’esistenza di un monaco che sarebbe giunto dando disposizione di una suddivisione del lavoro fra Moggiona e la vicina Badia: “Io ho sempre sentito dire che il bigone qua lo ha portato un monaco; a Moggiona disse di fare i bigoni, mentre a Badia i mestoli, i taglierei, e via dicendo. Noi usavamo il legno di abeto che ci davano in concessione, loro invece quello di faggio”.
Non si ha una data esatta, ma si ipotizza che sia similare proprio a quella del vicino borgo di Badia Prataglia, per il quale abbiamo invece dati certi che fanno riferimento a come già nel 1200 si realizzassero scodelle, taglieri, bicchieri e altri utensili in legno.
Il primo documento rintracciato che attesta la pratica artigianale tipica del paese è da ricercarsi nel Registro degli Atti Criminali della Contea di Moggiona: si tratta di un procedimento per furto ai danni di due bigonai, avvenuto nel 1686. Quindi è certo che nel ‘600 il mestiere esistesse e che chi lo esercitava veniva indicato con il termine di bigonaio.
Abbiamo inoltre un elenco di nomi degli artigiani che praticavano questa professione circa duecento anni fa grazie ai Registri dei Battezzati dell’Archivio Parrocchiale di Moggiona, in cui a partire dal 1818 viene indicato anche il mestiere del padre del battezzato.
SINTESI - ABSTRACT
Il mestiere del bigonaio oggi è quasi del tutto scomparso, anche se, su richiesta e con pazienza, si può ancora ottenere la costruzione di un bigoncino da parte di qualche anziano artigiano del paese.
Ad ogni modo, sono molte le attenzioni dedicate a questa pratica, al fine di preservarla e tramandarla ai posteri; ben radicata nella memoria collettiva, è la comunità stessa a volerla riproporre sotto diverse forme – per approfondimento vedere sezione “SEZIONE REFERENTI – COMUNITA, GRUPPI E INDIVIDUI” paragrafo “COMUNITA’” -.
Oggigiorno il punto di riferimento nel paese è la Bottega del Bigonaio. Si tratta di uno spazio facente parte dell’Ecomuseo del Casentino, realizzato grazie alla Pro Loco di Moggiona, in stretta collaborazione con il CRED. La bottega è situata nella Piazza del centro storico, all’interno dei fondi della Parrocchia; si articola in due stanze, nella prima delle quali è stata ricostruita la tipica bottega del bigonaio con i banchi e gli attrezzi; nella seconda è presente un’antologia della produzione artigiana, dalla prima alla terza fase.
Passeggiando per il borgo, con uno sguardo attento, si può notare come l’elemento del bigone sia ripetuto in modo persitene nelle evidenze della quotidianità.
Vecchi botti, barili, bigoni e bigoncini, ormai non più funzionali ai loro scopi originari, sono stati riutilizzati in modi alternativi e originali. Altri oggetti invece sono stati costruiti, in tempi più contemporanei, con forme e immagini analoghe alle produzioni della prima e seconda fase.
Anche nella chiesa di Moggiona sono forti i richiami al mestiere del bigonaio, visibili tutt’oggi. I tre seggi dei celebranti, il leggio e la croce posta a destra dell’altare sono costruiti con le stesse tecniche del bigone e sono opere del 1992 realizzate da Rodolfo Roselli e il figlio Mauro; famiglia attiva in questo settore da generazioni a partire dal 1750.
È di particolare rilievo la base del leggio realizzato con due cerchi a tre chiavi di chiusura, una magnifica e complessa applicazione del sapere artigianale, opera di Rodolfo Roselli, l’unico artigiano ad essere mai riuscito in una realizzazione tecnica-artistica simile.
Si deduce come questa tradizione da un lato sia così radicata nel sentire collettivo, da volerla replicare nelle evidenze materiali della vita di tutti i giorni, dall’altro come rappresenti una forma auto-rappresentativa socialmente condivisa e codificata in espressioni che trovano applicazioni in più ambienti e diversi utilizzi.
Un’evidenza tangibile dell’oggettistica e mobilia della prima, seconda e terza fase del bigone si può avere visitando lo spazio espositivo al di sopra di quella che era la bottega di Marcello Giovannelli.
ALTRE TRADIZIONI/ELEMENTI IMMATERIALI ASSOCIATI
IL BRUSCELLO
Fino agli anni del dopoguerra veniva rappresentato a Moggiona l’opera teatrale: il “Bruscello”. Messo in scena durante il periodo carnevalesco, proseguiva poi fino alla Quaresima. Riscoperto e riprodotto dal 2018, ha goduto di un’ampia partecipazione.
Il Bruscello è una forma arcaica di teatro popolare toscano, profondamente legato al mondo contadino, ad oggi quasi estinto. Il nome deriva dalla parola “arbusto”, che indica in dialetto toscano un ramo o un albero frondoso.
La caratteristica distintiva e insolita è che a recitare, sia le parti di personaggi maschili che femminili, erano solo uomini. Questi erano i bigonai del paese, che si occupavano sia di scrivere che interpretare i testi teatrali; mentre alle donne del borgo veniva affidata la realizzazione dei costumi di scena, creati con stracci di recupero.
Cantato in ottava rima, era accompagnato da musicanti, di solito fisarmonicisti. I testi erano tramandati di generazione in generazione, a volte oralmente, altre sotto forma scritta. I temi trattati potevano essere racchiusi sotto due filoni principali: lo storico-religioso, come per esempio “L’Orlando furioso”; e l’amoroso-nuziale, come “La forza del destino”.
Il testo “Belinda” è uno dei più famosi, appartiene al secondo filone, ed è stato rinvenuto a Moggiona dall’abitante Angela Acquaviva Nanni nel 2017 nella propria soffitta. Si pensa che sia stato scritto da alcuni abitanti di Moggiona fra cui Alfredo Nanni; di certo sappiamo che la rappresentazione avveniva nella Piazzetta della Porta, cioè all’ingresso del centro storico del paese.
Ad oggi viene ancora messo in scena dal gruppo teatrale “I bruscellanti del Casentino”, nonché da varie scolaresche che reinterpretano il testo teatrale trasformato nel “Il Bruscellino”.
LA CUCINA
Durante il periodo di lavoro e pernottamento nel bosco, nel corso della prima fase di vita del bigone, erano le mogli degli artigiani che tutti i giorni, a dorso d’asino, portavano i viveri necessari.
Veniva acceso un fuoco e venivano preparati i tipici cibi locali: la “pulenda dorce”, ovvero una polenta di farina di castagne; pane; “salcicci” delle sottospecie di salsicce e poco altro; il tutto accompagnato da un bicchiere di vino delle vigne di Moggiona, di per sé piuttosto aspro.
Altro piatto tipico è “l’acquacotta”. Nel libro “Cecco e Nuzia” di P. Antonio Bartolini del 1872 troviamo scritto: “I nostri macchiajuoli, nel tempo che stanno fissi alla macchia e pernottano nelle loro capanne, alla sera mettono cipolla e sale nella padella, vi fanno sopra con quel filo d’olio che esce dal pippiolo dello stagnolino due al più tre segni di croce, e come quella cipolla ha soffritto ben bene, empion d’acqua la padella e quando l’acqua è a bollore la versano in un tegame già riempito di fette di pane. Questa minestra, il cui sapore quanto sia gustoso non importa che ve lo dica, è chiamata Acquacotta”. Nel libro “Il Sapore di Arezzo” di Guido Gianni del 1975, a pagina 16, si trova la ricetta dell’acquacotta. L’autore, dopo aver sottolineato che “l’acquacotta ognuno la fa a modo suo con quello che la terra gli offre” riporta la ricetta tipica del bigonaio di Moggiona, una versione più ricca e saporita rispetto a quella degli antichi boscaioli, e che ancora oggi si trova sui menù di vari ristoranti.
SPAZI, OGGETTI E STRUMENTI/ELEMENTI MATERIALI COLLEGATI
LA CORNICE DELL’EREMO DI CAMALDOLI
L’eremo di Camaldoli fu fondato da S. Romualdo Abate nel 1012, in località detta allora “Campo Amabile”, da qui pare derivi la denominazione odierna Camaldoli. Situato sul versante toscano dell’appennino centrale, a metri 1100, contornato dalla millenaria foresta dell’alto Casentino, è fra i più celebri centri monastici di Italia, a capo della Congregazione Camaldolese dell’Ordine di San Benedetto. I monaci camaldolesi professano la regola di San Benedetto e uniscono al modello di vita in solitario nella propria cella, quello della vita comune fra preghiere corali e pasti comunitari. Attualmente la comunità del dell’Eremo è costituita da nove monaci.
All’interno della chiesa dell’eremo si trova una tela di Augusto Mussini, datata al 1915, raffigurante la visione di S. Romualdo. La cornice di questa opera è stata realizzata proprio da un bigonaio di Moggiona. C’è da sottolineare che falegnami e bigonai erano a stretto contatto con i monaci dell’eremo, visto che in parte ne erano dipendenti; sappiamo che in cambio del servigio che questi offrivano all’eremo, al momento della loro morte, gli veniva riservato un trattamento d’onore con diverse messe indette per il defunto.
Inoltre, furono i bigonai e i falegnami di Moggiona, con impiego del legno locale, a costruire parte dell’Eremo, continuando nel corso degli anni a garantirne il mantenimento.
APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE
L’apprendimento, così come la trasmissione, della tecnica artigianale avveniva in ambito domestico, con un orientamento di padre in figlio. È stato precedentemente detto come il mestiere del bigonaio fosse il prevalente nel contesto socioeconomico di Moggiona, l’apprendimento quindi interessava quasi l’intera fascia maschile giovanile. Le botteghe, spesso e volentieri, si trovavano all’interno dello spazio abitato, c’è dunque da immaginarsi come il rapporto fra quotidianità e lavoro fosse molto stretto. Il giovane apprendista era sempre a contatto con la realtà artigianale e imparava gradualmente le varie tecniche di lavorazione. Le procedure non erano semplici, alcune anche considerevolmente pericolose per l’incolumità fisica, come la creazione del cerchio.
Mauro Roselli ricorda il suo periodo di formazione in bottega con il padre: “Di solito in bottega s’era babbo e figliolo, e il secondo faceva i lavori peggiori; mentre il babbo faceva lavori come creare il cerchio o preparare le doghe”. Si ricava pertanto che determinate attività fossero a panaggio del padre più esperto, mentre altre del figlio allievo.
È da precisare che sia l’apprendimento che la trasmissione avvenivano solo all’interno del nucleo abitativo di Moggiona, rendendo la pratica un’esclusiva di questo piccolo borgo; indirizzata solamente al genere maschile, con poche eccezioni, come per la madre di Franca Roselli: “Mia mamma cominciò a lavorare con mio babbo. Il bigonaio era un lavoro maschile, penso che lei qui a Moggiona sia stata l’unica che abbia fatto questa cosa, che non era sicuramente frequente. Non so come fosse vista dalla comunità, io la vedevo molto sacrificata, ma credo che avessero ammirazione di lei tutto sommato”.
COLLEGAMENTO SCHEDE
Bruscello https://patrimonieducanti.it/bruscello/
COMUNITÀ
COMUNITA’
Dopo la fine della terza fase l’elemento cadde in uno stato di abbandono e dimenticanza, e il recupero della tradizione non fu immediato. Avvenne solamente grazie all’intervento di Danilo Tassini, personalità molto attiva per il paese, che iniziò un’operazione di studio e riappropriazione della pratica. Il sentire comune percepiva l’arte del bigonaio come un mestiere di poco valore, caratterizzante quella che doveva essere una sottoclasse della stratificazione sociale, perciò non degno d’interesse prima di allora – per approfondimento vedere sezione “SALVAGUARDIA”, paragrafo “MINACCE E RISCHI” capitolo “La perdita della memoria” -.
Danilo Tassini è nato a Camaldoli e abita nella vicina Bibbiena; ma è molto legato al paese di Moggiona dove il nonno e poi il fratello hanno tenuto aperti bar, osteria e alimentari. Abbiamo una pubblicazione del 1906 su Camaldoli dove è presente una pubblicità in cui il nonno del signor Tassini promuoveva vini e liquori toscani a Moggiona, attestando la pratica del mestiere di bottegai della famiglia Tassini da più di 120 anni Ha avuto una formazione universitaria laureandosi in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato Scienze e Matematica per 38 anni con grande devozione e piacere nelle scuole secondarie di secondo e di primo grado, fino alla pensione. Pur non abitando in paese ha vissuto da vicino la realtà del mestiere del bigonaio avendo sposato Franca Roselli figlia di Dino, bigonaio di Moggiona da generazioni. Danilo, quindi, ha vissuto la vita dei bigonai, seppur dall’esterno, a contatto stretto; probabilmente è stato proprio questo fattore a permettergli un’analisi più oggettiva e articolata dell’elemento. L’indagine sulla pratica artigianale è andata avanti per diversi anni della sua vita, e tutt’ora prosegue; buona parte del sapere recuperato è stato reso fruibile tramite pubblicazioni librarie di vario genere.
Del suo operato ci parla la moglie, Franca Roselli: “Chi ha apprezzato maggiormente questa tradizione è stato mio marito Danilo, perché noi tutti avevamo dimenticato…volevamo quasi dimenticare, nessuno aveva pensato che potesse essere una cosa di valore da tramandare ai posteri. Anch’io ritenevo che mio babbo facesse un mestiere di poco conto, era solo un artigiano, è dovuto venire Danilo dall’esterno per capire che aveva un valore; con le sue ricerche ha evidenziato un passato lontano di una pratica che ci apparteneva. Coinvolse le famiglie di Moggiona e i vecchi bigonai che gli diedero ciò che era rimasto, così si era ridato valore a questa cosa. Ripensandoci, ad oggi, ci sentiamo rappresentati dall’arte del bigonaio, visto che è stata la nostra vita. Ho sempre visto mio babbo fare cerchi, mi sembrava una cosa normale, capisco solo ora quali siano state le sue grandi capacità”.
È chiaro come il lavoro di Danilo sia stato una scintilla che ha acceso un fuoco, abilmente poi alimentato dalla Pro Loco di Moggiona, l’EcoMuseo del Casentino, Unione dei Comuni Montani del Casentino, e altre Istituzioni che hanno portato a una rivalutazione anche da parte della stessa comunità di una tradizione socialmente condivisa.
Danilo oggi è protagonista di numerose attività di valorizzazione che ruotano attorno all’arte del bigonaio. E ‘una figura chiave nel borgo, svolgendo il ruolo di guida turistica e referente della comunità.
Marcello Giovanelli è uno fra gli ultimi bigonai del paese portatore della tradizione. Iniziò a lavorare con il padre in bottega, commettendo le doghe durante la prima fase del bigone, per poi passare alla seconda fase con i bigoncini, fino alla terza con la mobilia: “Avendo mio babbo che faceva questo mestiere iniziai a lavorare con lui. Il lavoro mi piaceva e mi gratificava; inizialmente si lavorava nei fondi, poi decidemmo di ampliare il laboratorio nel 78 costruendo la bottega. Sono passati 45 anni, allora c’era entusiasmo e trovammo alcune ditte che ci davano lavoro sicuro, quindi dal bigone si passò al bigoncio e per ultimo ai mobili”.
Ha ereditato questo mestiere dalla famiglia e lo ha proseguito fino a quando non è stato costretto a chiudere l’attività: “In pensione sono andato una decina d’anni fa, dopo di che ho continuato a fare qualche lavoretto ma oggi non fo più niente, sto vendendo i macchinari. Sono dispiaciuto di questa cosa, specialmente quando vedrò portar via tutto, ma non era più possibile andare avanti; non trovavo più mercato, la voglia diminuisce e con i problemi fisici della vecchiaia diventa pericoloso lavorare da solo. I miei figli non hanno seguito la mia attività, da una parte sono dispiaciuto ma dall’altra no. È un lavoro piuttosto impegnativo, poi oggigiorno con le regole così stringenti bisogna stare attenti a qualsiasi cosa, mentre quarant’anni fa era diverso. Sono contento che i miei figli abbiano un lavoro pulito, noi invece la sera si tornava piuttosto malconci”.
Con il tempo si è specializzato sulla mobilia, piuttosto che sul distintivo bigone della prima fase, diventando uno fra gli artigiani più competenti in materia. Oggi dispone di uno spazio espositivo sopra la propria casa, in cui si trovano prodotti dalla prima alla terza fase del bigone.
Altro maestro bigonaio, uno dei più anziani, è Serafino Ballerini; figlio d’arte, proviene da una famiglia che comprende artigiani del legno fin dal 1720: “Nel 1830/35 erano già cent’anni che c’erano i bigonai a Moggiona; mio zio, mio nonno, tutti nella mia famiglia erano bigonai. Noi producevamo per la fiera di Arezzo il 9 e 10 settembre. Si costruivano da giugno fino a ottobre e d’inverno ci si dedicava all’agricoltura. La nostra famiglia, i Ballerini, non è mai andata a fare manutenzione alle fattorie quando era periodo, sono solo andato dai frati qua vicino per accomodare un frantoio”. Continua raccontando allegramente: “Io a 14 anni sapevo già fare un bigone. Quando rimanevo solo in bottega, che mio fratello e mio babbo magari andavano a fare un altro lavoro, passavano le ragazzine davanti a chiacchierare, e io invece che fare tre bigoni ne facevo due, allora sai cosa facevo? Per far vedere che ne avevo fatti tre andavo giù nel magazzino e ne prendevo uno, così quando tornava mio padre vedeva che ne avevo fatti tre invece che due”.
Oggigiorno è protagonista di quegli eventi rievocativi che prevedono la ricreazione del bigone nella Bottega del Bigonaio; nonostante la sua veneranda età produce ancora qualche bigoncino, soprattutto portamatite, per diletto personale. È l’unico artigiano in paese a saper ancora creare i cerchi, l’ultimo custode di una tecnica secolare.
Fra gli ultimi bigonai abbiamo Mauro Roselli, ormai in pensione ha eredito l’attività dalla famiglia e la ha proseguita fino a quando li è stato possibile: “Ho fatto la prima ragioneria e poi ho smesso, iniziai commettendo porta matite sotto un albero di noce qui accanto a 14 anni. I cerchi non li ho mai fatti; quando lavoravo in bottega con mio padre io commettevo, pulivo e raspavo; mentre mio babbo e mio nonno facevano il cerchio. Ho studiato poco, però non volevo fare questo lavoro. Feci domanda ai carabinieri, nella forestale
e alle ferrovie, ma alla fine, al ritorno dal servizio militare, mi sono trovato a fare il bigonaio senza volerlo”. “Io i bigoni li facevo per la Romagna, quando avevo preparato il camion andavo di persona a portarli a Bologna, si partiva tutti insieme e poi si andava a mangiare fuori”.
Insieme a Serafino è protagonista degli eventi rievocativi sul bigone, per di più svolge il ruolo di guida turistica occasionale portando i gruppi di visitatori alla scoperta dell’arte secolare di Moggiona. È uno degli ultimi bigonai che, abbracciarono questa vita fin dalla giovane età, è arrivato a possedere un notevole bagaglio di conoscenze artigianali.
Nel piccolo paese del Casentino restava solo una bottega attiva per la produzione di mobilia, ovvero quella di Marco Giovannelli. Marco ha eredito l’attività dal padre specializzandosi sulla mobilia; ha lavorato in solitario fino ad oggi, occupandosi sia del processo di progettazione che quello di realizzazione dagli articoli. La sua bottega, recentemente chiusa per l’insufficiente richiesta del prodotto e la mancata trasmissione dell’attività ai figli, è stata l’ultima officina attiva a Moggiona.
Oggi insieme alla moglie, Antonella, gestisce nel centro del borgo il b&b degli Allori. Gli interni, di splendida fattura in stile moderno, sono stati realizzati da Marco stesso, unendo tradizione e contemporaneità testimoniano come la pratica artigianale sia stata capace di evolversi e sopravvivere fino ad oggi, adattandosi alle continue rinnovate richiese del mercato.
PERSONE INCONTRATE
Sono stati incontrati in particolar modo gli abitanti del paese di Moggiona nel comune di Poppi, indicati come referenti.
Oltre a loro i professori Marco Fioravanti e Giuseppe Lotti dell’Università degli Studi di Firenze del corso di Design per la Sostenibilità, il direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Andrea Gennai, il Presidente della Cooperativa di Comunità di Moggiona e Segretario della Pro Loco Moggiona APS Patrizio Alberti, l’assessore del comune Poppi Giovanna Tizzi, la professoressa in discipline demoetnoantropologiche dell’Università degli Studi di Firenze Costanza Lanzara, Francesco Taviani e Laura Passalacqua dello Studio Lievito, le giovani studentesse di design che hanno partecipato alla Summer School (Martina Parigi, Martina Casamonti, Martina Costanzo, Beatrice Bandiera Marlia, Serena Tangari), l’architetto Andrea Rossi del CRED dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino.
REFERENTI
TIPO | COGNOME | NOME | SCOLARITÀ | PROFESSIONE | PERIODO | BIO/DESCR. | DATI BIOGRAFICI | STATO | REGIONE | PROVINCIA | COMUNE | LOCALITÀ |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
Persona |
STATO DI SALUTE - MINACCE E RISCHI - BISOGNI
MINACCE E RISCHI
Gli elementi a fondamento di un sistema culturale sono: la trasmissione per imitazione o istruzione;
la memoria del sistema appreso; la reiterazione, ovvero la capacità di riprodurre o eseguire il
sistema appreso; l’innovazione, cioè la capacità di creare nuovi sistemi a partire da quello di
partenza; la selezione, la capacità di scegliere quali di queste innovazioni mantenere e quali
scartare. Nel caso della tradizione del bigone riscontriamo delle minacce e dei rischi in quasi tutti
gli aspetti citati.
ATTIVITÀ DI VALORIZZAZIONE
Pubblicazione “Legno rustico in casentino”
Nel 1970 il giornalista Simone Bargellini scrisse una pubblicazione dal titolo “Legno rustico in Casentino”
con lo scopo di divulgare e far conoscere la tradizione artigianale di Moggiona:
“Siamo stati in Casentino, ma non per cercarvi lo scettro di Re Salomone, né la corona della Regina di
Saba nella caverna di Montecorniolo (Moggiona). Non cercavamo tesori, ma abbiamo finito per
trovarli.
(…) Moggiona è il paese dei bigonai, è il centro del legno lavorato a doghe. (…) A Moggiona,
tradizionalmente, si fabbricano bigoni, cioè bigonce, ma anche barili, mestelli e altri contenitori
destinati alle vigne e alle cantine, al servizio del vino.
(…) Accanto a questa produzione si è sviluppato da non molti anni un artigianato del legno di
castagno a doghe, che produce una straordinaria abbondanza di oggetti decorativi per
l’arredamento: soprammobili o addirittura mobili. (…) Girando per i rustici laboratori di Moggiona
non si può non ammirare la bravura e la dedizione al lavoro di questi artigiani”
Nella pubblicazione sono presenti diverse foto sotto riportate. Nelle didascalie si leggono i nomi di
alcuni dei bigonai di Moggiona di quegli anni ’60 -’70 del secolo scorso: Ditta Federico Giovannelli;
Ditta Rolando Madiai; Ditta F.lli Benedetti; Ditta Dino Roselli; Ditta Rodolfo Roselli; Ditta Baros di
Ballerini Gianfranco”.
Pubblicazione
EDUCAZIONE - RICERCA AZIONE DELLE SCUOLE
Seminario di Design
Il 10 novembre 2016 un gruppo internazionale di studenti della Facoltà di Architettura
dell’Università degli Studi di Firenze, Dipartimento Design, si è recato in Casentino per un
Seminario di Design per la sostenibilità dedicato al legno.
Visita della Scuola Primaria di Chitignano
Il 4 dicembre 2018 hanno visitato Moggiona gli alunni della scuola primaria di Chitignano,
accompagnati dalle loro insegnanti Natali Luisa, Cincinelli Laura e Balò Giovanna.
Sono stati coinvolti nella rivocazione della lavorazione di un bigone ad opera del maestro bigonaio
Mauro Roselli, presso la Bottega del Bigonaio; per poi visualizzare tutti insieme i filmati prodotti
dalla Banca della Memoria sull’antico mestiere.
“Le Mani del Bosco”
Il 13 aprile 2018 in visita alla Bottega del Bigonaio si sono recati gli studenti del Corso di Laurea
Magistrale in Design dell’Università di Firenze, del Corso Design for Sustainability, accompagnati
dai professori Marco Fioravanti e Giuseppe Lotti e dall’architetto Andrea Rossi del CRED
dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino. La collaborazione con i docenti, i ricercatori, la
comunità e gli studenti ha permesso di arrivare alla pubblicazione di un libro dal titolo “Le mani nel
bosco” della studentessa Josephine Germain; grazie al contributo dell’EcoMuseo del Casentino,
Unione dei Comuni Montani del Casentino, Pro Loco di Moggiona, Regione Toscana, Officine
Capodarno, Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura.
Università dell’Età Libera
Le partecipanti all’Anno Accademico 2021/22 dell’Università dell’Età Libera, sezione di Bibbiena,
hanno visitato Moggiona e la Bottega del Bigonaio, dove hanno potuto incontrare il maestro
artigiano Mauro Roselli.
Nel Bosco dei Bigonai Summer School
L’esperienza della Summer School si pone in diretta successione di quella già avvenuta il 13 Aprile
2018. I bigonai di Moggiona hanno incontrato, per una settimana, durante il mese di luglio
2023, alcuni giovani studenti del corso di laurea in Producr, Interior, Communication and Ecosocial
Design dell’Università di Firenze, coordinati dallo staff di creativi e designers dello Studio
Lievito.
Visita Scuola Primaria Pier Tommaso Caporali Giovi
Il 18 marzo 2024 i bambini della Scuola Primaria Pier Tommaso Caporali Giovi hanno visitato
Moggiona, guidati dalle esperte G.A.E Andrea e Corrado (OROS Cooperativa Ambientale) sono
andati alla scoperta del Percorso del Lupo, per poi venir a conoscenza dell’antico mestiere del
bigonaio grazie al maestro-artigiano Mauro Roselli.
PROTEZIONE GIURIDICA
La Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio immateriale è la normativa
internazionale che accompagna il processo di riconoscimento di queste tradizioni culturali a livello
globale. Promulgata a Parigi nel 2003, viene ratificata nel 2007 dall’Italia, diventando strumento per
rinnovate politiche culturali che puntano alla salvaguardia attiva della diversità delle culture viventi,
riconoscendo e sostenendo il valore insostituibile delle stesse comunità di “praticanti e
detentori” nella trasmissione creativa di quei complessi di conoscenze, capacità, pratiche e valori
elaborati nel corso della storia e minacciati dalla standardizzazione crescente della società
industriale e post-industriale.
Secondo la Convenzione, il patrimonio non è appannaggio esclusivo di esperti e istituzioni, e non
esiste patrimonio senza comunità, ed anzi è proprio il senso di appartenenza a definire il patrimonio
stesso: Art.2.1. Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le pratiche, le rappresentazioni,
le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli
spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui
riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale,
trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in
risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso
d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità̀ culturale e la
creatività umana.
Le politiche e attività patrimoniali devono in primo luogo riconoscere il diritto delle comunità e
organizzazioni della società civile alla condivisione dei benefici derivati dall’identificazione, la
documentazione e la gestione delle loro risorse culturali. Questo principio di condivisione dei
benefici accomuna le metodologie elaborate nell’ambito della Convenzione per la protezione della
biodiversità con le nuove politiche culturali in via di sperimentazione a livello globale. Nella fase
storica che stiamo vivendo, le sfide della sostenibilità favoriscono una considerazione del
patrimonio come fondamentale strumento per uno sviluppo territoriale partecipativo, consapevole e
sostenibile.
NOTE METODOLOGICHE DOCUMENTAZIONE
ALLEGATI - DOCUMENTI
AUTORE | TITOLO | DATA | LUOGO | DOCUMENTO |
---|---|---|---|---|
Chiara Secchi | Scheda atlante patrimonio annuale | SCARICA |
NOTE METODOLOGICHE PROCESSO DI INVENTARIAZIONE
Il processo di realizzazione della scheda dell’Atlante del Patrimonio Immateriale dedicata all’arte
del bigonaio è iniziato affidando la redazione a Chiara Secchi, studentessa presso l’Università degli
Studi di Firenze e futura laureanda in discipline demoetnoantropologiche; la quale si è inizialmente
occupata della visione del materiale disponibile riguardo al tema dei bigonai, dopo di che si è recata
sul luogo, durante lo svolgimento dell’iniziativa Summer School, per raccogliere il materiale
necessario attraverso un’indagine etnografica osservativa e iconografica, con l’ausilio di interviste
qualitative.
La scheda è stata compilata nei momenti successivi dal ritorno sul campo, mentendo sempre un
contatto stretta con la comunità, facendo ricorso alla modalità telematica per completare la raccolta
del materiale e tornando a Moggiona quando necessario.
Grazie alla supervisione di Andrea Rossi del Cred dell’Unione dei Comuni del Casentino, della
professoressa universitaria e ricercatrice Costanza Lanzara, di Valentina Zingari dell’associazione
SIMBDEA e ricercatrice indipendente, e di Danilo Tassini è stato possibile un confronto su più
livelli che ha permesso un’ottima collaborazione e redazione della scheda.
DIRITTI E CONSENSO DELLA COMUNITÀ
Il consenso è stato raccolto tramite liberatorie per via orale, più raramente scritte.
Non è mai stata fatta domanda di anonimato o rispetto di segreti e pratiche consuetudinarie.
AUTORE DELLA SCHEDA
Chiara Secchi
SUPERVISORE SCIENTIFICO
Andrea Rossi, Costanza Lanzara, Valentina Zingari, Danilo Tassini.