DENOMINAZIONE LOCALE
Il raviggiolo viene chiamato anche ravigiolo.
AREA GEOGRAFICA LUOGO
Stato: Italia
Regione: Toscana
Provincia: Arezzo
Comune: Chiusi della Verna
Località: Compito
NOME
Valtiberina
DESCRIZIONE
La Valtiberina è attraversata dal corso superiore del Tevere, e si dispiega tra Toscana, Umbria e Romagna. La Valle è chiusa ad Ovest dall’Alpe di Catenaia e ad Est dall’Alpe della Luna. Il suo territorio si estende su circa 673 chilometri quadrati e presenta un’ampia fascia montuosa (circa 1.400 m di altitudine), una zona collinare nelle aree di Monterchi ed Anghiari e una zona pianeggiante, limitata alla pianura del Tevere in cui sono sorti i principali centri urbani dell’area.
Questa zona è fortemente diversificata dal punto di vista paesaggistico presentando un forte dislivello medio (da un min di 291 a un max di 1.453 mt.slm) che caratterizza la maggior parte dei comuni (5 su 7 comuni valtiberini hanno un dislivello superiore a 1.000 mt). Altitudine e dislivello diffusi su tutto il territorio generano una stratificazione nel paesaggio i cui ambienti sono vari, modellati da attività diverse.
Poiché il 61,6% del territorio è coperto da boschi (particolarmente presenti a Badia Tedalda, Caprese Michelangelo, Pieve Santo Stefano e Sestino), la Valtiberina è un angolo di Toscana interessante dal punto di vista naturalistico, storico-artistico e religioso. Tra le sue colline troviamo affascinanti borghi antichi come Sansepolcro, terra natale di Piero della Francesca, Anghiari, uno tra i cento “borghi più belli d’Italia” noto per le sue architetture medievali e il bozzetto leonardiano della celebre “battaglia”. Ricordiamo anche paesi quali Pieve Santo Stefano con il suo archivio diaristico di importanza internazionale, Monterchi con il celebre affresco della Madonna del Parto di Piero della Francesca, Caprese Michelangelo terra natia di Michelangelo Buonarroti.
La Valtiberina è ricca di competenze artigianali di valore, celebra ciclicamente avvenimenti storici grazie a rievocazioni in costume, come il Palio della Balestra di Sansepolcro, tradizione festiva tramandata fin dal Rinascimento.
Il Comune di Sansepolcro (anticamente Burgus Sancti Sepulchri e Borgo Sansepolcro, da cui la forma vernacolare Bórgo, oggi diffusa, o Bòrgo secondo la fonetica più antica; in toscano Sansepólcro; erroneamente San Sepolcro o S. Sepolcro) si trova al confine con Umbria e Marche. È il centro più popoloso e capoluogo amministrativo della Valtiberina toscana. Libero comune prima e poi culla di cultura rinascimentale, ha dato i natali a famosi personaggi delle scienze, delle lettere e dell’arte quali Dionisio Roberti, Piero della Francesca, Matteo di Giovanni, Luca Pacioli, Raffaellino dal Colle, Cherubino Alberti e Santi di Tito. Posta a sud est di Arezzo sulle rive del Tevere, all’estremo est della Toscana. Sansepolcro svolge oggi il ruolo di luogo di riferimento economico e di integrazione culturale al crocevia di quattro regioni: Toscana, Marche, Umbria ed Emilia-Romagna. Si tratta del polo principale di una conurbazione che coinvolge anche il limitrofo comune di San Giustino, in provincia di Perugia. Il territorio comunale è inserito nel sistema geografico dell’Appennino centrale, tra la riva sinistra del Tevere e l’Alpe della Luna sullo spartiacque appenninico.
La produzione del raviggiolo, formaggio fresco molle di latte vaccino o occasionalmente ovi-caprino, tipico dell’Appennino tosco-romagnolo, riguarda oggi i paesi di Tredozio, Modigliana, Bagno di Romagna, Portico e San Benedetto, Premilcuore, Santa Sofia in Romagna e Bibbiena, Chiusi della Verna, Pieve Santo Stefano, Poppi, Pratovecchio, San Godenzo, Sansepolcro e Stia in Toscana, tutti comuni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Questa parte dell’appennino è sempre stata dedita all’allevamento, con specifiche vocazioni che variano a seconda della zona; nelle terre della Valtiberina e nel versante dell’appennino dell’Alta Val Marecchia, prevale l’allevamento di bovini, in particolare di razza chianina, maremmana o pastorina. Tutte tipologie importanti selezionate per la loro carne di alta qualità e per la loro prestanza fisica.
Come testimonia Luca Segantini durante un’intervista, in questo territorio le mucche da latte non erano molte tra l’800 e il 900: avendo una dieta alimentare molto rigorosa e ricca (devono avere un apporto di fieno e cereali per assicurare una buona e generosa produzione di latte), nella cultura mezzadrile andava avanti un’altra tipologia di bovino. È stata una scelta di alcuni allevatori che, nel processo di modernizzazione delle aziende, hanno voluto sperimentare nuove razze e arricchire le aziende con vacche da latte per la produzione di formaggi.
PERIODICITÀ E OCCASIONI
La produzione del raviggiolo non ha una periodicità specifica, non si predilige un periodo di produzione, anche se tradizionalmente viene annoverato come produzione primaverile, in quanto richiesto maggiormente dai consumatori quando riparte la bella stagione.
Le testimonianze di Luca Segantini e Cosimo Cascianini attestano che durante il periodo estivo la produzione di latte è maggiore, complice il pascolo all’aria aperta, l’alimentazione delle vacche (brucano nei campi e solitamente l’allevatore può aggiungere altro foraggio) e molte volte il calcolo del parto della mucca (si tende a “far nascere i vitelli in primavera per una maggiore disponibilità di foraggi freschi”, afferma Luca Sagantini) il che comporta anche una lattazione superiore, in funzione dell’allattamento dei vitelli.
Nel caso specifico dell’azienda di Compito, il raviggiolo viene prodotto nell’esatto momento in cui viene richiesto dagli acquirenti essendo un formaggio fresco, che deve essere consumato nel giro di 4/5 giorni.
Attualmente, l’azienda di Compito nota che il raviggiolo viene richiesto maggiormente durante l’estate, complice la freschezza di questo formaggio.
Unica pratica ricorrente di festività è segnalata nel comune di Premilcuore (FC), associata negli ultimi anni alla Sagra della castagna, in seguito al riconoscimento di presidio Slow Food del raviggiolo romagnolo.
NOTIZIE STORICO-CRITICHE
Il Raviggiolo ha una storia documentata di quasi Cinquecento anni, è un formaggio che, nel corso dei secoli è diventato parte integrante della tradizione alimentare tosco-emiliana. La sua presenza è attestata dal 1515, periodo in cui il Magistrato Comunitativo della terra di Bibbiena lo diede in dono a Papa Leone X in un canestro ricoperto di felci e presentato come un omaggio prezioso e prelibato.
Una curiosità relativa all’artista Michelangelo, nato a Caprese, piccolo comune della Valtiberina toscana, racconta che uno dei menù preferiti dell’artista fosse composto da tortelli, 4 pani, un quartuccio di bruscino (ovvero il raviggiolo) e un boccale di vino.
Nel 1800 poi, Pellegrino Artusi nei suoi testi dove racconta i prodotti tipici e i piatti della tradizione, consigliava l’uso del cacio raviggiolo come farcitura per i primi piatti.
SINTESI - ABSTRACT
Il Raviggiolo è frutto di una tradizione casearia patrimonio delle aziende a gestione familiare del territorio tosco-romagnolo.
Sicuramente, l’impossibilità di produrre a larga scala il raviggiolo, formaggio che può essere conservato per un massimo di 5 giorni, ne limita le possibilità di commercializzazione al di fuori della zona di produzione. Si tratta di un formaggio fresco molle di latte vaccino o occasionalmente ovi-caprino, tipico dell’Appennino tosco-romagnolo, oggi prodotto nei paesi di Tredozio, Modigliana, Bagno di Romagna, Portico e San Benedetto, Premilcuore, Santa Sofia in Romagna e Bibbiena, Chiusi della Verna, Pieve Santo Stefano, Poppi, Pratovecchio, San Godenzo, Sansepolcro e Stia in Toscana, tutti comuni del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
Grazie all’intervista con Luca Segantini, è emerso come nell’Appennino tosco-romagnolo durante l’800 primi del 900 la struttura mezzadrile comportasse principalmente vacche adatte al traino o alla produzione di carne.
Nel territorio toscano poi hanno preso campo la razza chianina, maremmana e pastorina: tutte razze di vacche che non hanno una grande produzione di latte, non sono particolarmente abbondanti nella produzione nemmeno durante il periodo di allattamento dei propri vitelli, tant’è che spesso veniva presa una vacca che faceva da balia, riuscendo a nutrire adeguatamente i nascituri. È molto probabile che la scarsa produzione di latte abbia condotta ad una scelta di produrre come formaggio proprio il raviggiolo, essendo questo un formaggio che permette di utilizzare tutto il latte senza alcuno spreco. Come fa notare Luca, chi aveva pecore o mucche che producevano un notevole quantitativo di latte prediligeva la produzione di altri formaggi visto che una maggiore produzione comporta una conservazione a lunga durata, caratteristica che non ha il raviggiolo.
Produrre il raviggiolo è una scelta da parte dell’allevatore: essendo un formaggio fresco con una durata di massimo 5 giorni, molti allevatori lo producono solo quando viene gli richiesto.
Il raviggiolo vanta una lunga storia: gli alunni coinvolti nel progetto hanno scoperto che il primo documento storico in cui troviamo il raviggiolo risale al 1515 e riporta una donazione di questo formaggio al papa Leone X. Se ne trovano tracce anche nell’opera di Pellegrino Artusi “La Scienza in cucina, e l’Arte del mangiar bene”, che cita il cacio Raveggiolo come ingrediente nel ripieno dei cappelletti all’uso di Romagna
Il caso specifico dell’azienda di Compito mostra come le tradizioni pastorali possano essere tramandate di generazione in generazione. Cosimo Cascianini, durante una intervista dedicata, dichiara di aver fatto determinati percorsi di studi e scelte di vita proprio per poter portare avanti l’azienda agricola di famiglia.
Una scelta interessante che riesce a far convivere tanto le modalità tradizionali delle pratiche pastorali quanto i nuovi strumenti di produzione del moderno caseificio. Nel corso dell’intervista all’allevatore mette in luce il fatto che le tempistiche della produzione dei formaggi, pur rispettando i tempi degli animali e il ciclo di lattazione delle mucche, devono anche tener conto delle esigenze sanitarie obbligatorie per la vendita dei prodotti.
Nell’ultimo anno Cosimo Cascianini ha investito per poter comprare tutti i macchinari e gli utensili necessari per poter fare formaggio, ricotta e raviggiolo. La vita dell’allevatore continua a seguire i ritmi della natura: sveglia al mattino presto, mungitura delle mucche e poi produzione del formaggio. La vendita avviene o direttamente nell’azienda, o con la mediazione di piccole botteghe della zona.
Processo e pratiche di produzione
La produzione del raviggiolo ha mantenuto le tradizionali tecniche di fabbricazione. Questo formaggio viene preparato subito dopo la mungitura: si lascia raffreddare di qualche grado il latte appena munto, vi si aggiunge il caglio e si lascia coagulare per poco tempo, poi, senza rompere la cagliata, si fa scolare in canestri di plastica; per ultimo il formaggio viene leggermente salato.
La questione del caglio è però dibattuta: durante l’intervista con Luca Sagantini ed Andrea Rossi è emerso che al raviggiolo viene aggiunto il caglio animale, anche se fonti antiche come il Calendario Casentinese per l’anno 1837 afferma che “questo caglio animale, da cui trae il formaggio uno spiacevole odore, ed un sapore piccante, desideriamo di vederlo bandito da tutti nostri manipolatori di cacio, i quali tanto più volentieri debbono determinarvisi, quanto più vedono apprezzarsi il cacio fiore al di sopra del cacio comune.”
In passato il raviggiolo veniva preparato dentro cestine di giunco e fatto riposare sotto foglie di felce. Le cestine venivano fatte direttamente dagli allevatori utilizzando rami e parti delle piante di giunco presenti nel territorio e così pure le foglie di felce si trovavano (e si trovano tutt’ora) nei boschi della Valtiberina.
La pratica dell’utilizzo di cestine di giunchi e copertura di foglie non si può più attuare all’interno di un caseificio anche a conduzione familiare, perché le normative igieniche non lo consentono.
Per l’elevata umidità (60%) e per la sua delicatezza e freschezza, il raviggiolo è privo di crosta ed ha una struttura tenera e morbida. Il suo sapore è dolce e la sua solubilità al palato ricorda un latte appena munto. Le forme di formaggio si presentano tonde con un’altezza variabile tra i 3-4 cm. e un diametro di 10-15 cm. circa. Il peso di ogni singola forma può variare da 500 gr fino a 1 kg.
Pratiche casearie e organizzazione del lavoro
L’azienda di Compito è a gestione famigliare: il proprietario segue la coltivazione dei campi, l’allevamento delle mucche e la mungitura: inoltre il dottor Cascianini ha seguito dei corsi specifici per poter seguire anche le fasi della gestazione e del parto delle sue mucche. La parte della produzione dei formaggi è affidata invece alla sua compagna, che giovanissima riesce a portare avanti la produzione su commissione di forme di formaggi, ricotte e raviggioli.
Le nozioni che permettono di mandare avanti questa azienda sono state apprese dal suo giovane proprietario proprio a partire dalle pratiche dei nonni del dottor Cascianini. Lui e la compagna seguono il lavoro dalla raccolta del latte alle fasi di trasformazione, pastorizzazione, scrematura, lavorazione del caglio, salatura e stagionatura. Quando si ricopre questo ruolo si conosce il latte e le sue caratteristiche, e si possiedono anche le conoscenze chimico-biologiche relative ai prodotti utilizzati nella lavorazione del formaggio.
La produzione artigianale dei formaggi assicura un sapore e una conservazione differente rispetto alle lavorazioni industriali in grande scala, che comportano l’impiego di macchinari e l’aggiunta di sostanze che ne permettano una conservazione più duratura.
Pratiche di consumo e pratiche sociali/festive associate
È un formaggio molto apprezzato in un uso familiare e diffuso. Le modalità di consumo sono svariate a secondo dei gusti dei consumatori: ci sono gli amatori che lo apprezzano da solo accompagnato giusto da un’insalata, chi lo preferisce condito con il pepe, chi lo utilizza per accompagnare la zuppetta di cipolla e pane raffermo (ricetta tipica della cultura contadina, un tipico piatto “povero”), e poi c’è chi lo preferisce un po’ più “avanzato” come dicono gli anziani della Valtiberina, ovvero quando inizia a fare un po’ di crosta e inizia ad avere un sapore più intenso, condito con pepe e un filo d’olio.
Il formaggio Raviggiolo si accompagna molto bene con vino bianco non frizzante e gli amatori lo consigliano in particolar modo con il Trebbiano.
Caratteristiche nutritive
Come rilevato dalla ricerca svolta dai ragazzi della classe III A dell’Istituto Comprensivo Di Scuola Materna Elementare E Media di Pieve Santo Stefano durante l’anno accademico 2018/19, il raviggiolo, oltre al sapore e gusto inconfondibile, può essere apprezzato perchè nonostante abbia un apporto energetico ed un livello di grassi abbastanza rilevanti è un formaggio fresco – contiene oltre il 60 % d’acqua – mantiene comunque valori calorici e grassi inferiori rispetto a quelli dei formaggi stagionati. Le calorie sono fornite prevalentemente dai lipidi, seguiti dalle proteine e da piccole quantità di carboidrati – buona parte dei quali vengono degradati in acido lattico dalla flora batterica. Gli acidi grassi sono prevalentemente di tipo saturo, i peptidi ad alto valore biologico – ovvero forniscono tutti gli amminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni e quantità rispetto al modello proteico umano – e i glucidi solubili / semplici – tipo disaccaride lattosio.
Il raviggiolo non contiene fibre, mentre il livello di colesterolo è tutt’altro che trascurabile. Sempre per azione della flora batterica lattica, il raviggiolo contiene una modesta quantità di istamina, che si forma per decarbossilazione dell’istidina libera.
Il raviggiolo può invece essere considerato un’ottima sorgente di amminoacidi essenziali, tutti contenuti nelle proteine ad alto valore biologico delle quali abbonda. È consigliato nelle varie situazioni caratterizzate da un maggior fabbisogno alimentare di amminoacidi essenziali, come: malnutrizione generale e specificamente proteica, malassorbimento cronico e aumentato fabbisogno metabolico, gravidanza, allattamento o sport straordinariamente intensi e prolungati.
SPAZI, OGGETTI E STRUMENTI/ELEMENTI MATERIALI COLLEGATI
Tra i beni materiali collegati alla produzione di questo formaggio tipico dell’Appennino tosco-romagnolo vanno inserite le tradizionali fuscelle per il raviggiolo, prima in giunco, attualmente sostituite da contenitori di plastica prodotti da industrie italiane.
DESCRIZIONE DELL'EVENTUALE PERCORSO – ITINERARIO
I percorsi relativi alle pratiche pastorali, un tempo legati alle transumanze stagionali, sono oggi caratterizzati da un sistema di mobilità a piccola scala secondo criteri di conduzione del gregge che rispondono a nuove logiche aziendali.
Nel caso dell’azienda di Compito, luogo privilegiato dall’indagine, per esempio, il pascolo brado si pratica in territori delimitati. Le mucche da mungere allevate dall’azienda sono circa una decina: l’allevatore tiene gli animali al pascolo nei campi puliti vicino a casa, senza spostarle verso i pascoli d’altura.
“Io le tengo intorno a casa per un fatto anche di gestionalità del lavoro (…) da noi c’è anche il fatto che ci sono gli spini e le mucche con la poccia grossa se le mandi fuori se sciupa la poccia. Io le mando nei campi sotto casa che sono puliti e chiusi.”
Il dottor Cosimo Cascianini giustifica questa scelta di conduzione del gregge come sistema per tutelare la salute degli animali: nei campi delle montagne dell’appennino frequentemente vi sono piante selvatiche spinose e questi spini potrebbero ferire le mammelle delle mucche.
L’allevatore racconta che quando le mucche pascolano all’aria aperta, nutrendosi di erba verde producono più latte, però l’alimentazione è curata anche durante i mesi invernali quando le mucche stanno in stalla. In questo periodo l’allevatore nutre gli animali con il fieno e le farine di orzo di sua produzione, creando un’alimentazione adeguata e bilanciata, e se alcune farine di cui le mucche hanno bisogno non sono prodotte dalla sua azienda, le richiede ai consorzi di fiducia.
APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE
La trasmissione di questo insieme di conoscenze, saperi e pratiche avviene spesso per via familiare, all’interno di aziende a conduzione domestica, come nel caso dell’azienda agricola di Compito.
Nell’azienda di Compito, la produzione dei formaggi compreso il raviggiolo non è fatta con macchinari come accade nei caseifici ad altra produzione, bensì viene portata avanti a mano dal proprietario dell’azienda il dottor Cosimo Cascianini e dalla sua famiglia.
Questa azienda a conduzione familiare permette di mantenere vive le tradizioni, tramandandole anche alle nuove generazioni, permettendo anche alle scuole e giovani generazioni di venire a contatto con il mondo contadino e agricolo.
Importante è anche la vendita diretta che mette in relazione il produttore con il consumatore, nel contesto aziendale.
Il caso del dottor Cosimo Cascianini, proprietario dell’Azienda agricola di Compito, è rappresentativo dell’importanza della trasmissione per via familiare. Cosimo ha ereditato il lavoro della sua famiglia mantenendo vive le tradizioni specialmente per quello che riguarda la produzione dei formaggi, supportato in questo dalla madre e dalla compagna.
Alle tradizionali forme di trasmissione nel luogo di vita e lavoro, si aggiungono oggi nuove modalità, legate per esempio alla scuola, o al turismo.
L’azienda di Compito è un ottimo esempio di impegno nella trasmissione dei saperi alle nuove generazioni, poiché si presta ad accogliere gite scolastiche per alunni di tutte le età che possono conoscere direttamente questo antico lavoro, scoprendo anche le sue evoluzioni tecniche.
COMUNITÀ
La produzione del formaggio raviggiolo vanta una tradizione secolare, oggi trasmessa grazie al lavoro di numerosi professionisti responsabili delle continuità di questa tradizione casearia.
PERSONE INCONTRATE
Cosimo Cascianini, proprietario dell’azienda di Compito
Luca Segantini, Ufficio Agricoltura e promozione dei prodotti tipici Unione dei Comuni montani del Casentino
STATO DI SALUTE - MINACCE E RISCHI - BISOGNI
Gli alunni della III A dell’Istituto Comprensivo di Scuola Materna Elementare e Media di Pieve Santo Stefano durante l’anno accademico 2018/19, che hanno svolto in prima linea il lavoro di ricerca hanno riscontrato come timore principale quello di un costante allontanamento da parte delle giovani generazioni al lavoro dell’allevatore e dell’agricoltore.
La perdita progressiva di questi mestieri nei paesi delle montagne dell’Appennino comporta la perdita di conoscenze e saperi della natura, degli artigianati, dell’alimentazione tradizionale e delle forme di socialità a questa associata.
ATTIVITÀ DI VALORIZZAZIONE
L’azienda agricola Compito è una piccola azienda a gestione famigliare, con una sensibilità spiccata per quello che riguarda la tutela della tradizione agropastorali e casearie; la partecipazione alla ricerca per l’atlante del patrimonio immateriale, ha sollevato anche una riflessione sulla possibilità di un riconoscimento del raviggiolo come prodotto DOP.
NOTE METODOLOGICHE PROCESSO DI INVENTARIAZIONE
Il percorso originale dell’atlante del patrimonio immateriale ha coinvolto le scuole del territorio, luoghi per eccellenza della trasmissione tra le generazioni.
Durante l’anno scolastico 2018/2019 si sono tenute giornate di formazione degli insegnanti e laboratori in classe.
Le notizie riportate nella scheda sono il frutto di due livelli di lavoro:
1 – i materiali prodotti dalle classi durante gli anni scolastici 2018-2019
2 – le informazioni raccolte attraverso momenti di ricerca sul campo, presso le “comunità gruppi ed individui” interessati al lavoro di ricerca sul patrimonio, le associazioni del territorio, i produttori, i musei e le associazioni culturali coinvolte.
La ricerca ha compreso:
– lavori con la classe III A dell’Istituto Comprensivo Di Scuola Materna Elementare E Media di Pieve Santo Stefano durante l’anno accademico 2018/19
– Incontri con i proprietari dell’Azienda agricola di Compito
E prodotto questa documentazione:
– Materiali forniti dal lavoro in classe della III A dell’Istituto Comprensivo Di Scuola Materna Elementare E Media di Pieve Santo Stefano durante l’anno accademico 2018/19
– Fotografie e altri materiali visivi, relativi alla visita della classe all’Azienda di Compito
Le notizie riportate sono state apprese sia attraverso momenti di ricerca sul campo, presso alcune aziende che producono il raviggiolo, che valorizzando il materiale raccolto dalle esperienze delle classi. Importanti sono state anche le visite al Museo della civiltà contadina di Pieve Santo Stefano e all’Azienda agricola di Compito, le interviste al Dottor Cascianini e agli esperti del settore.
AUTORE DELLA SCHEDA
Valentina Ricci
SUPERVISORE SCIENTIFICO
Andrea Rossi, Valentina Lapiccirella Zingari
SITOGRAFIA E BIBLIOGRAFIA
https://www.facebook.com/pages/category/Local-Business/Agricola-Compito-del-Dott-Cascianini-Cosimo-1404867973113073/